Il bellicismo all’americana colpisce ancora.

Agosto 1942, Oceano Pacifico. Le storie di tre soldati americani si intersecano nel racconto della sanguinosa guerra contro l’Impero Giapponese. La nuova produzione Spielberg-Hanks di DreamWorks non delude la tradizione che li ha già visti insieme in passato in Saving Private Ryan e Band of Brothers: i risultati sono indubbiamente spettacolari – e ci sarebbe da chiedersi come potrebbero non esserlo, visti gli investimenti da circa 150 milioni di dollari -, ma la vicenda sviluppa il solito cliché del bellicismo in prima persona, del cameratismo, delle gesta eroiche e della fasulla magnanimità del vincitore che ha oramai esaurito gli spunti di riflessione.

Le cinque puntate della mini-serie sono liberamente ispirate alle memorie di due marines: With the Old Breed di Eugene Sledge e Helmet for My Pillow di Robert Leckie. Anche se non vi è una esplicita affermazione del ‘giusto’ e dello ‘sbagliato’, la vicenda raccontata contribuisce ad alimentare il concetto secondo il quale le gesta eroiche di pochi hanno salvato il destino di molti: la guerra era inevitabile, il nemico ha portato un popolo pacifico e civile a combattere con risolutezza la barbarie della tirannia. Insomma, la storia la scrivono i vincitori e si vede.

Un discorso a parte merita la bella trovata per la sigla, che alterna disegni a carboncino e spezzoni del film che risultano molto ben fatti; il tratto nero prende vita e diventa il viso di un personaggio, la vista dell’orizzonte, una mano che scrive una lettera. La colonna sonora è opera del solito ‘santone del soundrtack’ Hans Zimmer, un trionfo orchestrale ad ampio respiro che accompagna lo sguardo dell’eroe stremato mentre voltandosi a guardare il cammino percorso si chiede cosa possa significare tutto questo.