Sovraffollamento carceri: soluzioni.

Tra bancone e giornale: signori al bar.

La crisi politica ed economica che ha invaso l’Italia ha anche monopolizzato l’informazione più o meno a partire da luglio di quest’estate (2011); nel corso degli ultimi sei mesi, per la prima volta, nella speciale classifica dedicata alle parole più gridate nei bar dagli aliti al sapor di bianchino, la parola spread ha superato la campionessa in carica fuorigioco (che comunque la tallona).

Ma se la crisi e il giorno del giudizio sono “solo” una proiezione della nostra impossibilità di sopravvivere in futuro a queste condizioni, ci sono delle situazioni (di cui si parla meno) le cui condizioni sono già nel presente intollerabili per chi le vive. Una di queste è la condizione inumana in cui riversano i detenuti delle “nostre” patrie carceri.

Carcerati che condividono delle in savrannumero.

Tanto per capire sin da ora ciò di cui stiamo parlando, darò subito questo dato: in Italia ci sono circa 68mila carcerati, ma la capienza delle strutture che li contengono è studiata (e costruita) per 44.412 persone.

Il gravissimo paradosso di persone che sono costrette a restare in un luogo che non li può fisicamente contenere, non è spesso considerato dalle grandi masse (e per conseguenza dalla rappresentanza politica e dalla comunicazione assetata di numeri). Alla base di questa mancanza di considerazione c’è una forma mista di egoismo e moralismo, per cui ci si disinteressa delle persone emarginate e confinate nelle carceri, adducendo scuse come “se lo sono meritato, peggio stanno, meglio è”, oppure “l’importante è che non stiano in mezzo alla società civile, se stanno male sono affari loro”.

Questa arrogante forma di presupposta superiorità etica ha la sua base, a dire i vero, in una ben più semplice reazione umana, ovvero quella per cui le anime più deboli e superficiali – che, nei numeri, sono sempre molto vicine alla maggioranza – tendono a considerare più importante ciò che vedono, rispetto a ciò che semplicemente esiste. Ecco quindi che è molto facile sentire urlare “sbatteteli in galera”, oppure “vogliamo giustizia” quando un telegiornale qualunque racconta un fatto di cronaca nera, mente sentiamo pochissimo dire “questa non è giustizia”, in riferimento a quello che succede dentro le carceri italiane (luoghi in cui gli occhi della massa non hanno accesso).

Ma se si accetta lo stato di diritto in cui viviamo (che genericamente indichiamo come “giustizia”), bisogna anche accettare che la forma di detenzione si limiti alla privazione della libertà, senza ulteriori implicazioni di natura vendicativa o di altro tipo; ha ragione Ratzinger (non credevo che avrei mai detto questa frase) quando afferma che, nella situazione attuale, i detenuti si trovano in alcuni casi nella condizione di subire una «doppia pena».

Preparativi per un esecuzione. Nel mondo pre-illuministico, la gogna pubblica era una delle pena più diffuse.

Non basta credere utilitaristicamente nel sistema penale, bisogna credere anche alla difesa della detenzione come luogo in cui la dignità dell’uomo non debba mai essere messa in discussione, in cui l’unico diritto civile di cui si è privati è la libertà logistica (vi suggerisco di dare un’occhiata al breve, ma chiaro, art. 27 della Costituzione). Non credere in questo, significa non aver capito il significato della concezione moderna di pena. Significa vivere nel 2000 a.C.

E allora, posto in evidenza il problema, vediamo, come al solito senza pregiudizio, cosa si ripromette di fare l’attuale governo per porre un freno a questa situazione.

La Ministra Paola Severino

Come tutti sapete, il Ministro “tecnico” della Giustizia è Paola Severino; il decreto da lei proposto – e che ha ottenuto il via del Consiglio dei Ministri settimana scorsa – propone innanzitutto di spostare a diciotto mesi, rispetto ai dodici che prevedeva il Lodo Alfano, il periodo residuo della pena da poter scontare agli arresti domiciliari. Ovvero, dal momento che ci sono troppe persone in carcere, facciamo ‘sì che chi sta ultimando la sua pena sconti gli ultimi diciotto mesi.

Bella idea. Peccato, però, che il risultato sia minimo, perché in questo modo le persone che usciranno l’anno prossimo – 2012 – dal carcere saranno poco più di tremila (circa 3300) e, come le cifre sopracitate indicano, servirebbe che ne uscissero circa 24mila. Ecco che, quindi, vorrei discutere con voi delle altre possibile azioni possibili, nella certezza che, se almeno qualcuna di queste non si tradurrà in decreto, non avremo soluzione al problema.

Pene alternative. La prima cosa che viene in mente, è sostituire il più possibile il carcere con altre forme di pena che, sempre tenendo conto del fine posto dall’articolo 27, possano farne le veci. I numeri qui sono molto vaghi, più che altro si tratterebbe di definire quali reati potrebbero vedere la pena del carcere convertita in arresti domiciliari, oppure in lavori socialmente utili (questi ultimi più inclini alla questione del reinserimento, rispetto all’isolamento della pena detentiva domiciliare), e poi capire qual è il numero di persone che si riescono a far uscire.

Depenalizzaizione reati minori. Un altro fattore strutturale potrebbe essere la diminuzione dei reati all’interno dello statuto, che diminuirebbero continuativamente (e per sempre) gli ingressi. Anche qui c’è da stabilire quali tipi di reato potrebbero rientrare nella casistica.

L'ex-ex Ministro Mastella. Fu l'ultimo a indire un indulto nel 2006, prima del crollo del Governo prodi.

Indulto. Sarebbe il diciannovesimo nei sessantacinque anni di Repubblica Italiana, cioè più o meno uno ogni tre anni; contando che l’ultimo risale al 2006, siamo perfettamente in media. Il vantaggio di questa operazione – contro la quale io non ho nulla dal punto di vista teorico – è poter decidere in base alle esigenze il numero di persone da liberare (nel 2006 furono poco più di 21mila) e, poi, trovare un criterio per stabilire chi può usufruirne. Il problema (e il fatto che ce ne siano stati così tanti ne è segnale) è che non è una soluzione strutturale.

Apertura nuove strutture. Nel nostro paese, sottolinea qualcuno, ci sono diverse strutture detentive pronte e inutilizzate; aprirle potrebbe alleviare la situazione. Tra le proposte di cui si parla mi sembra la meno efficiente. Se pensiamo che un carcere come San Vittore – uno dei maggiori – ha una capienza di 900 posti (anche se contiene oggi circa 1400 persone), significa che per risolvere la situazione con quest’unica azione bisognerebbe aprire almeno venticinque nuovi carceri si simile ampiezza, comprensivi del personale adeguato. Dato che oggi abbiamo, in media, un operatore carcerario ogni settanta detenuti (non aumentano perché “non ci sono soldi”), questa ipotesi sembrerebbe anche piuttosto onerosa per le casse dello Stato.

Probabilmente sarebbe tutto da fare, in misure diverse. La formula mista che mi sembra pià ragionevole, potrebbe essere partire con un indulto da 25mila (ben ragionato, non come quello che fece Mastella) per porre immediato rimedio alla grave situazione. Contestualmente, per non ridurre l’indulto ad un palliativo, bisognerebbe puntare sulle altre soluzioni (concentrandosi molto sulla questione delle pene alternative).

La cosa certa è che la responsabilità di garantire ai detenuti una vita dignitosa e vivibile spetta allo Stato; parliamo di persone che sono state sequestrate alle loro vite in base ad un ordinamento. Io credo che, in base allo stesso ordinamento, bisognerebbe esigere che siano trattate adeguatamente. Ne va della legittimità stessa dell’organo giuridico-penale.

Giancarlo Mazzetti

11 pensieri su “Sovraffollamento carceri: soluzioni.

      • la strada delle pene aalternative ,dovrebbe essere applicata giustamente come dice lei ,a coloro che commettono reati minori,ma purtroppo non è così perchè chi usufruisce di questi percorsi non è certo il cittadino che commette reato per disperazione,per fame ,per rabbia, ma sono percorsi alternativi esclusivi per chi si può permettere l’avvocato del diavolo.In sostanza se non hai conoscenze, danaro,e nessuno ti deve un favore sei costretto a scontare la tua pena fino in fondo.
        a mio parere le persone che vengono dichiarate colpevoli, è giusto che scontino una pena adeguata al tipo di reato commesso,ma comunque devono scontare solo quella,e comunque in condizioni umane
        mentre le condizioni attuali delle carceri,ti fanno scontare una pena in condizioni a dir poco disumana.tutto questo comunque è solo merito della nostra tolleranza

  1. l’ipocrisia e l’egoismo di massa,sono purtroppo una realtà,sono comunque partorite dall’ignoranza ,questa grande arma strategica usata da sempre dai potenti nei confronti del popolo.per quanto riguarda l’informazione è sempre stata monopolizzata,non è uno strumento per informazione di massa ,che tocca quotidianamente le problematiche del cittadino cercando di farlo riflettere su un determinato argomento,ma è soltanto un mezzo politico per creare solo delle testate che portino la vendita delle stesse in classsifica,pur mantenendo l’ignoranza fra i lettori.
    per quanto riguarda un indulto mirato,calcolato e monitorato che permetta la scarcerazione di almeno 25000 sono d’accordo,ma non boccerei la proposta del ministro PAOLA SEVERINO,perchè comunque porta anche questa tesi a dei numeri ,se pur bassi ma concreti.le voglio riportare dei dati:A seguito dell’indulto emanato nel 2006,
    Italia Lavoro avviò un progetto di ricerca volto a monitorare 2.158 soggetti (beneficiari
    dell’indulto ma anche detenuti a fine
    pena e minori) che erano stati inseriti in tirocini guidati presso aziende su tutto il territorio nazionale. Di questi, solo il 2,8% è
    tornato dietro le sbarre.
    Da qui, è facile comprendere l’importanza di offrire delle alternative già dentro il carcere.
    Nel primo semestre del 2010,
    negli istituti del nostro Paese erano stati attivati 297 corsi di formazione, frequentati da
    3.584 detenuti (1.066 dei quali
    stranieri). A livello regionale, la Sicilia appare il contesto più virtuoso in tal senso, dal momento che nei penitenziari presenti
    sul suo territorio i corsi disponibili erano 84, per un totale di iscritti pari a 862 detenuti. Consistente anche l’offerta della
    Lombardia, dove i corsi attivati erano 43, e del Lazio (con 31 percorsi di avviamento ad una professione). La maggior parte
    degli iscritti ai corsi professionali attivati è concentrata in percorsi volti alla formazione di personale per la ristorazione (512
    iscritti per 42 corsi), sebbene in molti preferiscano imparare un mestiere che abbia a che fare con l’agricoltura (505). La
    possibilità di approfondire le proprie conoscenze informatiche ha attirato 450 detenuti che hanno partecipato a 38 progetti
    professionali di questo tipo. Infine, un buon successo di iscritti è stato registrato anche per le attività di artigianato (28 corsi per
    un totale di 311 frequentanti) e per tutte quelle attività che hanno a che fare con il mondo dell’arte e della cultura (26 corsi e
    331 iscritti). Nel primo semestre del 2010 il totale dei detenuti lavoranti era di 14.116 soggetti (di cui 861 donne), la maggior
    parte dei quali ha prestato servizio alle dipendenze della struttura nella quale scontava la pena (12.058).

    • Grazie per il bel post di commento.
      Non sono l’autore dell’articolo ma provo a portare acqua in dote di questa importante riflessione.
      Ho visto ieri notte un film piuttosto famoso: il segreto dei suoi occhi. La scena finale del film mostra un uomo detenuto da crica venticinque anni in una cella del tutto isolata; unico contatto giornaliero quello del suo aguzzino che gli porta il vassoio del pasto senza proferire parola alcuna.
      Queato non è chiaramente la condizione peculiare del detenuto medio ma l’idea pervicace di ingabbiare un uomo privandolo per il periodo della detenzione della condizione principale della vita è qualcosa che mi spaventa, mi angoscia. Ecco perchè la riflessione economica riguardo a questo tema va secondo me inquadrata in una logica etica. Rinchiudere un uomo è una pena a cui corrisponde una colpa molto elevata. Altrimenti va perseguita la strada delle pene alternitative.

      • Grazie all’amico (e collega) Fortunato Ceccarini per aver coperto la mia assenza rispondendo tempestivamente al post del nostro lettore!

    • Gentile Marco, innanzitutto grazie per il commento e per i dati forniti a noi ed ai nostri lettori.
      Per quanto riguarda la “proposta Severino” sono d’accordisismo con lei: non va assolutamente respinta, anzi, andrebbe forse incrementata, rendendola valida a tempo indeterminato (adesso, essendo solo una modifica all’interno del testo di Alfano, è valida solo provvisoriamente sino al 2013) facendo la così diventare – insieme ai suoi numeri – strutturale.
      Per il resto, tutti quei numeri credo dimostrino un reale interesse per una riabilitazione completa e valida del detenuto (giustamente in accordo con il principio dell’art. 27); il problema serio, a mio avviso, è che su questi temi, la società è un centinaio di anni avanti rispetto alla maggioranza dei cittadini (grazie alle varie “strategie del terrore” moderne – vedi Lega di Bossi).

      Consiglio la lettura di “Sorvegliare e punire”, di Michel Foucault (non tanto per i risultati a cui arriva, ma per la descrizione che opera del passaggio dalla concezione penalistica dell’Ancien Regime a quella moderna).

  2. supplizio, punizione, disciplina e prigione.sono le quattro fasi fondamentali del libro da lei
    citato,foucault dice la prigione è una forma usata dalle “discipline”, un nuovo potere tecnologico, che può ritrovarsi, secondo l’autore, anche nelle scuole, negli ospedali, nelle caserme, e così via. ma farò dono del suo consiglio e lo rileggerò.
    per quanto riguarda le strategie di terrore sono sempre state usate dai nostri governi ,è una versione moderna delle arene che inauguravano periodicamente i romani.

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