Il calcio. La misura di tutte le cose.

Winston Churchill esprime un concetto lontano dal mondo del calcio. Meritare la vittoria.

Per usare una frase celebre e tanto cara al direttore di PotatoPieBadBusiness potremmo dire che “Gli italiani perdono le guerre come fossero partite di calcio e le partite di calcio come fossero guerre” (Winston Churchill).

Ma se l’esito della seconda guerra mondiale fosse stato nelle mani di un solo uomo?

A meno che non foste momentaneamente in orbita spaziale nell’ultima settimana, sapete tutti cos’è successo. Perché il primo dopoguerra è una serie infinita, estenuante e inarrestabile di replay, fermi immagine, commenti, bugie, litigi

In alto, Roberto Romagnoli. Al centro, un goal.

Ora che sono passati alcuni giorni, ora che viviamo un secondo dopoguerra vorremmo anche noi tentare di capire ciò che segue:
Come ha fatto? Come ha potuto sbagliare Roberto Romagnoli, il guardalinee di Milan-Juventus?

Ci sono alcune possibilità. La prima è che Roberto Romagnoli sia in effetti non vedente come recentemente affermato da molti, primo fra tutti Gene Gnocchi: “Romagnoli si giustifica dopo Milan Juventus.<<Non è colpa mia! Non hanno fatto entrare allo stadio il mio cane guida>>. Ci sentiamo di scartare tale ipotesi. No, non è cieco.

Sbagliare non è umano.

“Sbagliare è umano”. No. In questo caso non lo è.

Era in malafede” gridano alcuni. “In malafede” è il termine tecnico del mondo del calcio per indicare che un arbitro o un guardalinee, Romagnoli in questo caso, percepiscono degli emolumenti da una o più squadre, la Juventus Football Club in questo caso. Anche questa versione dei fatti non convince. Non tanto perché non sia verosimile che il giudice di gara sia sul libro paga del giudicato, anzi nel calcio e in Italia in generale trattasi di una prassi normale. Ma piuttosto perché sarebbe impossibile credere che il Romagnoli, se effettivamente “uomo della Juve”, avrebbe segnalato il fuorigioco millimetricamente inesistente di Matri. Soprattutto con la Juventus, e cioè il suo datore di lavoro in questa ipotesi, sotto di un goal a pochi minuti dalla fine. In conclusione no, non era in malafede.

“Non ha visto” secondo altri. In realtà solo secondo i più attenti alle dinamiche proprie del calcio. Per questi analisti spietati e calcolatori, l’attenzione visiva di Romagnoli sarebbe stata catalizzata dall’oggetto Arturo Vidal, il giocatore juventino che sta sul palo opposto durante l’azione. In parte possiamo credere a questa teoria. Nel senso che accettiamo come verosimile che la sua attenzione fosse concentrata altrove. Ma poiché quell’altrove era incidentalmente in linea e a pochi metri dal luogo preciso del delitto non possiamo accettare che non abbia visto. Voglio dire se vai a sbattere in auto sulla Milano-Torino non puoi dire che ti sei distratto guardando una delle altre auto perché le altre auto sono precisamente ciò che devi guardare. Guardava Vidal? Peccato che Vidal fosse lì dove era necessario che guardasse per vedere il tragico misfatto. Perciò si, ha visto.

L’ipotesi che mi convince maggiormente è, contro ogni pronostico, un’altra; la mia. E cioè che gli arbitri e i guardalinee italiani siano congenitamente, naturalmente e solennemente privi di qualsiasi personalità. Banderuole al vento.  Impressionabili e spaventati come bambine. Deboli e in balia degli eventi. A tutto questo aggiungete la capacità di essere permalosi in un modo non ragionevolmente concepibile e quella di essere affetti da manie di protagonismo gravi e severe.  Croniche. Incurabili. Nel frattempo succede che “gli addetti ai lavori” (termine tecnico che nel mondo del calcio significa “giornalisti analfabeti, calciatori, allenatori, dirigenti con in mano la quinta elementare”) hanno capito perfettamente la questione. E poiché sono intellettualmente minuscoli – ma non esattamente stupidi -hanno sviluppato un’arte nuova e difficile: “condizionare gli arbitri”. Ancora un termine tecnico. Nel mondo del calcio “condizionare gli arbitri” è un concetto che racchiude in sé tutta una serie di piagnistei, vittimismi, invettive, filippiche, negazioni dell’evidenza, affermazioni del falso evidente e molto altro ancora che allenatori e dirigenti distribuiscono in gran misura a tutti i mezzi di comunicazione o presunti tali. Nella pallacanestro alcuni allenatori si fanno infliggere di proposito un fallo tecnico (equiparabile ad un’ammonizione per proteste) perché convinti che dopo di esso il metro arbitrale virerà naturalmente sulle rotte della propria squadra per una sorta di equità e compensazione che gli arbitri adotterebbero.

Josè Mourinho, all’epoca allenatore dell’Inter, durante Inter-Sampdoria. In tale gara non si verificarono errori arbitrali a danno dell’Internazionale Football Club.

Più o meno seguendo un filo logico simile Josè Mourinho, ex allenatore dell’Internazionale, inventava, tra le altre cose, il gesto delle manette (inteso come “questi arbitri sono da galera”. Anche se solo i più attenti sanno che in realtà intendeva “io dovrei stare in galera per quello che combino”) in una partita nella quale la sua squadra non veniva danneggiata in alcun modo dall’arbitro. Mazzarri, attuale imperatore dei piagnistei partenopei, seguiva alla lettera la legge per cui gli arbitri sono uomini minuscoli quando, più o meno tutte le domeniche negli ultimi 25 anni della sua carriera, si presentava alle telecamere e ai microfoni a recriminare e inveire contro questo o contro quello. Il tutto sempre preceduto dalle parole “sapete che non parlo degli arbitri ma…” (<<tutto ciò che in una frase viene prima del MA, non ha valore>>, parole sante).

Allo stesso modo Antonio Conte, attuale presidente dell’associazione italiana persone calve, trascorreva l’ultimo mese e mezzo circa a rilasciare dichiarazioni del calibro di:<<mi accorgo che c’è paura a fischiare un rigore per la Juventus>>. E così ogni persona del calcio, che sia di Milan, Juve o Battipagliese cerca di riuscire al meglio nell’infame compito di tirare l’acqua al proprio mulino. Non importa come. Se seguiste il calcio da cinquant’anni sarebbero cinquant’anni di dichiarazioni analoghe, piccoli trucchi mentali Jedi, spergiuri e falsità tutti indirizzati e finalizzati ad un unico risultato: se piango, mi lamento e poi ancora piango, magari la prossima volta avranno qualche piccola remora in più a fischiare qualsiasi cosa contro la mia squadra. E io vincerò meritando di pareggiare oppure pareggerò meritando di perdere. Fantastico!

Tornando al caso del sospetto guardalinee cieco che cieco non è sostengo che Romagnoli sia, in effetti, una vittima. Diversi fattori l’hanno condannato. Primo fra tutti il piagnisteo continuo pre-gara della Juventus, questa volta peraltro molto ben sceneggiato e meglio ancora interpretato rispetto ad altre volte. Poi le dichiarazioni sponda Milan dedite e finalizzate, volontariamente o meno, a trasformare l’evento sportivo in programma nella cosa più importante e carica di significato dell’Universo. Infine la genetica, o comunque qualcosa di supremamente impresso, che ha creato Romagnoli guardalinee a immagine e somiglianza di tutti gli arbitri e i guardalinee. Senza palle. Questo cocktail straordinario con un pizzico di altri ingredienti meno importanti ci consegna un mostro sportivo senza precedenti, anzi con molti precedenti: la partita inarbitrabile.

Ecco cosa potrebbe essere successo. Romagnoli deve aver visto, anche solo per una frazione di secondo, il benedetto pallone al di là della benedetta riga. Il suo cervello deve aver recepito il messaggio attraverso il nervo ottico. Ma una frazione di secondo dopo il pallone non era più in porta. E la rete non si era gonfiata. Quindi non era innegabile in maniera divinamente assoluta che fosse goal. Doveva decretarlo lui. La responsabilità di confermare una cosa tanto evidente da essere banale per chiunque gravava come un macigno sulle spalle di questo intrepido eroe. In un solo istante devono essersi concentrate tutte le paure, i timori, le remore e le insicurezze che abilmente erano state innestate nella mente del povero Romagnoli. Devo assegnare la rete del 2-0 al Milan?! Contro la Juventus?! In questa partita?!Pensate che uomo nato per le decisioni difficili, che spirito manageriale, che forza di volontà. Tutto il mondo conosciuto sapeva, ma solo uno doveva applicare il bollino di validità. Il più codardo di tutti, inteso come il più codardo di tutti gli uomini e le donne della terra. Lui. E qui, peró, come si dice, la trama si complica.

Prima di procedere dobbiamo inserire il termine tecnico del “paradosso”. Per fortuna non è un termine tecnico del mondo del calcio ma del mondo post-alfabetizzazione normale. L’etimologia è greca; composta da PARA’, contro, e DOXA, opinione. Paradosso: cioè asserzione contraria all’opinione universalmente accettata come vera.

In quel momento della microstoria della partita infatti si verifica l’evento paradossale. Incredibilmente il piccolo uomo Romagnoli, che con tanta fatica abbiamo sollevato da molte responsabilità e da molti sospetti descrivendolo come incapace di decidere perché non in grado di sopportare il peso minuscolo della decisione, non deve decidere.  Può non decidere. Che sollievo. Un altro bambino vestito di azzurro nel centro del campo decide al posto suo. E’ l’arbitro. L’eroe di tutti i guardalinee. Si chiama Paolo Tagliavento. Decide lui. E’ goal.

L’arbitro Tagliavento assegna il goal indicando la metà campo e osserva il guardalinee Romagnoli nell’attesa che confermi la sua decisione.

(come tutti saprete l’arbitro ha assegnato il goal al Milan, salvo poi tornare sulla decisione dopo aver visto il guardalinee che, appostato in linea con la porta, non convalidava la rete) 

Ma il paradosso si materializza feroce e spietato come solo nel mondo del calcio può essere. Romagnoli ha un momento di coraggio, o di follia, un barlume di amor proprio, la coscienza gli ricorda che lui, proprio lui che fin da piccolo sogna di essere la star, finalmente può dire “No. Non è goal”. Il vero sballo è dire no. Così scopriamo con sgomento che paradossalmente il fatto in analisi non è che il guardalinee non abbia visto o non sia sicuro, ma che sia sicuro di aver visto il contrario della realtà. E dinanzi a tanto la mente umana, perlomeno la mia, non può nulla. Mistero della fede.

La scommessa di Romagnoli. 1-0 risultato esatto.

Quindi rispetto ai propositi iniziali, capire come abbia potuto sbagliare, dobbiamo arrenderci. Personalmente posso solo, dopo piú attenta analisi, tentare di sostituire frettolosamente la mia teoria con un’altra: Romagnoli aveva scommesso sull’1-0, risultato esatto.

Non è dato sapere cosa sia successo veramente perché nel mondo del paradosso avviene che quando tutti, dall’ultimo massaggiatore al presidente, dall’ultimo cronista al direttore passando per la gente comune possono prendere la parola, solo alcuni non possono essere ascoltati: gli arbitri e i guardalinee. In altri paesi, in paesi normali, Romagnoli sarebbe andato ai microfoni a spiegare come abbia potuto sbagliare. E avremmo commentato le sue parole invece che il nulla di teorie improbabili!

In uno sport normale, per la verità, sarebbe avvenuta la seguente cosa, telegraficamente descritta:

Muntari ribadisce in rete, stop – secondo l’arbitro è goal, stop – secondo il guardalinee non è goal, stop – l’arbitro fischia e corre fuori dal campo, stop – l’arbitro osserva il replay televisivo dell’azione, stop – è goal, stop.

Alcuni tra i peggiori idioti affermerebbero che così si perderebbe troppo tempo. E spiegherebbero comi il calcio sia per definizione uno sport dove il cronometro non possa essere effettivo. Ma, scusate, se tutta l’operazione sopra e telegraficamente descritta durasse 2 minuti, non si potrebbero poi aggiungere 2 minuti di recupero? Oppure dobbiamo sopportare lo scempio di professionisti megaretribuiti che restano al suolo fingendo malori e malanni nella speranza di perdere tempo, senza però poi accettare che si perda un minuto per sapere se è goal? Stiamo parlando dello scopo del gioco. Fare goal. Ci sono riusciti o no? Hanno segnato? Forse vale la pena perdere anche cinque minuti per scoprirlo piuttosto che gettare via mezz’ora di gioco ogni domenica perché il massaggiatore deve spruzzare dell’acqua sul polpaccio sano di uno che, stramazzato al suolo, finge una lesione muscolare che non ha nell’attesa di rialzarsi e giocare come se nulla fosse successo.

In alto, Roberto Romagnoli. Al centro, un goal.

Per i baroni del calcio non è così. Meglio rimanere all’età della pietra. Con un regolamento che prevede che un uomo percepisca la volontarietà di un atto realizzato da un altro uomo che, di norma, è un attore da oscar costretto a giocare a pallone. Meglio restare con un regolamento che richieda che l’occhio umano veda ciò che scientificamente si è dimostrato non può vedere: cioè il fotogramma del fuorigioco. Un attimo sei in gioco, il fotogramma successivo non lo sei più. A dover decidere è lo stesso che non ha visto che il pallone di Muntari era entrato. Non c’è possibilità che ci riesca.

Il dopoguerra, quello vero, quello sotto i riflettori non è altro che l’ennesima gara a chi riesce ad essere più vittima con la fredda volontà di essere avvantaggiato la prossima volta. Il coro della Juventus:<<ci sono stati due goal annullati entrambi regolari. Uno a uno e palla al centro.>> Il coro mentale in realtà recita:<<questa volta ci è andata bene ma non sia mai che passi che siamo stati avvantaggiati altrimenti la prossima partita rischiamo di non ricevere il favore arbitrale>>.

Il Milan: <<il goal era dentro di un metro. Il fuorigioco era millimetrico. Sul due a zero la partita sarebbe cambiata>>. Ma in realtà pensano tutti: <<questa volta ce l’hanno rubata ma facciamo in modo che in tutto il mondo si gridi allo scandalo così la prossima volta compensano e ci danno 4 rigori>>.

Il mondo del calcio italiano, e cioè del paradosso, scaglia la prima e altre pietre su Gianluigi Buffon.

Nel secondo dopoguerra, sempre tra quelli famosi, tra quelli in tv e sui quotidiani nazionali, qualcuno riesce anche a lamentarsi per il fatto che Buffon, il portiere della Juventus e della Nazionale Italiana, non abbia confessato il goal. La cosa strepitosa è che coloro i quali si levano indicando in Buffon un antisportivo sono gli eroi di un mondo fatto di simulazioni incredibili, di dolori inesistenti, di furbate o presunte tali, d’inganni, di tranelli, di raccattapalle ragazzini istruiti a restituire in ritardo il pallone nel caso in cui faccia comodo perdere tempo, di allenatori che allenano i giocatori a cadere in area non appena sentono il contatto, di giocatori che segnano di mano, di…

Gianluigi Buffon è colpevole di aver affermato la verità banale e riconosciuta da tutti come innegabile. Nel mondo dei paradossi si tratta di una colpa grave.

Questo è il calcio: nettamente lo sport più antisportivo e privo di valori per distacco.

Per questo e per molti altri motivi mi sento di poter dire che amare una squadra di calcio è bellissimo, amare il calcio è da idioti.

JP

2 pensieri su “Il calcio. La misura di tutte le cose.

  1. Ulteriore interpretazione del fatto (vado a occhio): Il naso, l’ombelico e il pene di Romagnoli, se proiettati sulla linea laterale, sono distanti circa 85/90 cm dalla base della bandierina; tra la fine della linea bianca (e del palo) e l’inizio del pallone, lo spazio vuoto è di circa 30 cm. se si traccia una linea dal naso di Romagnoli e il pallone – passando per il perimetro del palo – secondo me potrebbero esserci gli estremi considerare l’ipotesi in cui lui no veda lo spazio vuoto tra la palla e il palo, e quindi non credo che il pallone sia completamente entrato.

    In questo caso si tratterebbe semplicemente di un errore di posizione del guardalinee, che, comunque mantiene a mio avviso valida tutta la disquisizione di JP. Bisognerebbe trovare una foto dall’alto, oppure avere voglia di ricostruire tutto su un foglio e far ‘sì che sia la geometria a dire come stanno le cose.

    GM

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