Luigi Gariglio al Castello di Ussel con ALP_AGE

Se quest’estate vi capiterà di attraversare la Valle d’Aosta verso il Monte Bianco o il Monte Rosa, c’è una gradevole sosta che potreste fare, uscendo al casello di Chatillon – St. Vincent. Mi è capitato poche volte di vedere mostre di arte contemporanea o di fotografia in questa regione italo-francese, eppure sospettavo che qualora mi fosse capitato, ne sarei rimasta piacevolmente colpita. Non tanto per la qualità del lavoro, il cui merito si deve soprattutto all’artista ed è quindi variabile, quanto per la cornice che accoglie questo genere di eventi. La mostra ALP_AGE di Luigi Gariglio è ospitata fino a fine agosto presso il Castello di Ussel, costruzione del 1300 e ufficialmente aperta al pubblico nel 1998 dopo un restauro massiccio delle sale interne e del tetto, sul quale è possibile salire per un bel giro di ronda. La costruzione è visitabile solo d’estate, in occasione di mostre temporanee, come in questo caso.

Il progetto del fotografo torinese si articola per quasi tutte le sale del castello con un’allestimento degno di nota, dati i tempi. Brochure esplicativa e cartolina, pareti di cartongesso per sostenere le stampe, una maxi proiezione..vi garantisco che si tratta di un allestimento attento e che raramente possiamo apprezzare visti i tempi. Chiaramente è sempre possibile fare di meglio, come in genere si vede di molto molto peggio. Questo lo si deve soprattutto al Mountain Photo Festival, manifestazione nella quale rientra la mostra, all’artista e al curatore – Francesco Zanot – che probabilmente hanno saputo “battersi” per ottenere il minimo dei fondi necessari per l’organizzazione. ALP_AGE (complimenti per il titolo) è un progetto visuale, quindi realizzato con diverse tipologie di immagini o, se preferite, dove l’immagine è declinata in modi diversi – attraverso fotografie, diapositive, filmati, audio-video etc – che indaga la vita nel territorio valdostano, le tradizioni, le forme sociali, economiche, l’organizzazione politica e urbana. In particolare, Gariglio ha trascorso diverso tempo insieme agli abitanti della regione – dai pastori agli agricoltori, da famiglie intere a giovani coppie – per capire come per queste persone si organizzano e vivono un contesto così diverso dal normale ambiente cittadino.
Il tempo e lo spazio assumono indubbiamente una dimensione più dilatata, un peso maggiore in questa specifica quotidianità, poiché in primis ci si relaziona con l’erba, il sasso, la neve, la mucca, la pecora, il caglio, i fiori, la brezza montana. E’ interessante vedere come l’autore ha deciso di affrontare questo ambiente e come inserirsi in questo contesto. Alle volte si è trattato di un tradizionale attraversamento con la propria macchia fotografica, che ha portato a “fissare” alcune immagini di paesaggi, persone, animali, stagioni. Altre volte, cercando di restituire una visione propria del confronto tra naturale e artificiale, tra la cima di un monte ricoperto d’erba e gli ovetti che caricano inquieti camminatori, Gariglio ha eseguito degli interventi in situ. Ad esempio, deviando il percorso di gruppi di animali al pascolo.

La voglia di operare attraverso un’azione, un gesto che mette in relazione l’artista con il luogo e tutto ciò che rientra nel suo habitat, è una pratica oggi molto più usata rispetto a vent’anni fa, ma che era già iniziata negli anni Settanta. Tra le prime immagini in mostra compaiono anche numerose fotografie di famiglia, che Gariglio ha raccolto durante i suoi viaggi, percorsi, momenti di vita montanara. Anche questo è un modo di lavorare che va quasi di moda negli ultimi tempi – ci sono progetti magnifici realizzati con le fotografie di famiglia, per citarne solo un paio si vedano Foresta Bianca (figlio di Foresta Nascosta) o l’Età dell’Oro di Matteo Balduzzi. A differenza di altri esempi, qui le immagini raccolte sono state riprodotte dall’artista, in una sorta di processo di appropriazione e restituzione che arriva in profondità nella storia di queste persone, nel lavoro che per generazioni si sono tramandati attraverso una cultura fatta di cose semplici, locali, auto-prodotte.


Le stampe più grandi, fotografia di paesaggio allo stato puro, riempiono i polmoni d’aria in quota, perchè riescono a trasmettere quella vastità e quella potenza che solo la natura è in grado di darti. Forse d’estate lo si nota ancora meglio. Mi permetto di fare un plauso particolare per aver scelto il dittico come modalità di presentazione delle stampe,  che accresce la potenza comunicativa di questi paesaggi e davvero crea una relazione, sottolinea il processo.


Nel complesso un progetto a più livelli, strettamente intrecciati tra loro e che sono il frutto di un lavoro di reale conoscenza e vita sul posto, condivisione e comunicazione con il territorio l’ ha generato e che oggi lo ospita. Bravo Luigi.

Tutte le immagini sono state realizzate da potatopiebabusiness.com

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